Poste Italiane inadempiente sui buoni fruttiferi postali. Cosa fare?


I BFP, ovvero i buoni fruttiferi postali, sono stati introdotti nel nostro ordinamento nel 1924, come tipo di investimento per i risparmiatori e di finanziamento dello Stato. Sono stati particolarmente accolti negli anni Ottanta, soprattutto credendo di trovare nel futuro del nuovo secolo una somma dispendiosa.

Purtroppo oggi, però, tradiscono le aspettative.

Attualmente sono in scadenza e nel momento della riscossione, si devono applicare percentuali sulle vecchie lire fino alla conversione in euro, e ciò non sempre dà il risultato sperato.

Prima degli anni ottanta, la legge prevedeva che lo Stato potesse modificare i rendimenti dei buoni già emessi.

Il Codice postale quindi pronosticava che i tassi dovessero essere modificati da decreti ministeriali, che deliberavano quelli nuovi fino al 20 esimo anno. Per il periodo dal 21 esimo al 30 esimo anno era prevista la retribuzione per ogni bimestre dell’importo risultante applicando un interesse del 12%.

Ogni giorno c’è un numero crescente, destinato a salire ancora, di disputa sui rendimenti dei buoni fruttiferi postali serie Q/P da legittimare ai risparmiatori.

Dallo scorso marzo 2020, Poste Italiane è stata inadempiente alle decisioni dell’Arbitro Bancario Finanziario, in poche parole, non ha rispettato il rendimento dei Buoni fruttiferi della serie sopracitata.

Un chiarimento prima su cosa sussiste un inadempimento, ovvero quando intercessore non esegue o solo in parte, la prestazione imposta dall’ABF, in questo caso i nuovi timbri apposti dietro al buono non specificavano nulla sui tassi che dovevano essere applicati per gli anni dal 21° al 30°.

I vecchi buoni fruttiferi della serie Q emessi sono quelli che creano problemi, contenendo informazioni contraddittorie.


Gli introiti di quelli che decorrono da luglio 1986 a prima del 1999, non rispecchiano la caratteristica riportata nel retro del buono, così che le poste italiane rimborsano una cifra inferiore. Dopo l’entrata in vigore del decreto del 13 giugno 1986, le Poste avrebbero dovuto emettere buoni della serie Q, ma per un lasso di tempo hanno adoperato quelli della serie O e P che indicavano tassi superiori ma di fatto non più adattabili.

La legge consentiva di impiegarle fino ad esaurimento, solo quelli della serie P e non quelli della serie O con l’accordo che venissero apposti due timbri, uno sul fronte con indicazione della nuova serie e uno sul retro con in nuovi tassi. Invece ha continuato a rimborsare un importo inferiore, e l’intestatario non ha mai ricevuto comunicazione sul rendimento dei titoli in origine sottoscritto.

Il problema nasce qualora i tassi su un BFP a scadenza trentennale, sono riportati fino ai primi 20 anni senza specificare gli ultimi 10, nel quale della serie P erano più elevati, ovvero pari al 15% annuo.

Per questa situazione, Poste Italiane si è rivolta, costretta, all’ABF, che più volte l’ha condannata a risarcire ai risparmiatori del maggiore rendimento, talvolta per tutto il trentennio. Ma non tutti i buoni della serie Q però meritano risarcimento.

La questione è se i buoni postali trentennali emessi ante 1986 possono essere rimborsati in base ai tassi indicati sul cartaceo, ovvero in caso ai saggi più bassi fissati dal DM 13 giugno 1986 ed applicati dagli uffici al momento della riscossione.

I risparmiatori che hanno riscontrato questa problematica si sono rivolti all’autorità competente, ovvero l’ABF.

Il risultato è stato quello di applicare il principio di legittimo affidamento del risparmiatore nelle condizioni di rendimento riportate sul retro del titolo, quindi restituendo ai consumatori.

Dallo scorso mese di marzo 2020, Poste Italiane è inadempiente a queste decisioni dell’Arbitro Bancario Finanziario.


Che cos’è ABF, che fino ad ora ho nominato più volte?

Questi è un organismo indipendente e sopratutto imparziale, sostenuto dalla Banca d’Italia, un sistema di risoluzione delle controversie che possono sorgere tra clienti e servizi bancari, finanziari, postali e di telecomunicazioni.


Cosa accade quando ci sta una disputa tra le parti?

Cliente e negoziatore, in questo caso risparmiatore e Poste Italiane, si rivolgono a questo organismo neutrale.

Le decisioni dell’ABF vengono prese esclusivamente sulla documentazione prodotta dalle parti, durante il ricorso, senza essere necessaria la presenza di un avvocato.

Le disposizioni se non vengono rispettate dall’intermediario, la notizia del loro inadempimento è resa pubblica sul sito internet dell’ABF per un periodo di 5 anni e sul sito dell’intermediario per un periodo di 6 mesi.

Il cliente che si rivolge all’ABF, per ottenere giustizia, deve farlo soltanto dopo aver cercato di risolvere la controversia inviando un reclamo scritto all’intermediario.

Nel caso la decisione dell’ABF non è ritenuta accettabile e soddisfacente dal cliente, uno dei due o entrambi possono rivolgersi ad un giudice, che potrà tutelarli ed esprimere una sentenza.

L’ABF si struttura in sette Collegi: Bari, Bologna, Milano, Napoli, Palermo, Roma e Torino.

Si assicurano che siano tutelati gli interessi delle diverse parte coinvolte.


Cosa è successo?

L’azienda Poste Italiane ha dichiarato di non ritenere possibile e dare contributo alle decisioni prese dall’ABF, per quanto riguarda il rendimento dei Buoni di serie Q/P.

La Corte d’Appello di Milano, ha accolto questa tesi.

La sentenza del 6 agosto 2020 ha riconosciuto Poste Italiane adempiente al corretto inserimento del timbro sui buoni fruttiferi Q/P, e che il risparmiatore poteva conoscere i relativi utili con il principio della Cassazione Sez. Unite n. 3963/2019 di pubblicità dei rendimenti dei buoni pubblicata nella normativa dalla Gazzetta Ufficiale.

Si è espresso anche il Collegio di Coordinamento dell’ABF, che ha confermato che va rinomato un interesse più alto per gli anni dal 21 esimo al 30 esimo all’intestatario dei buoni Q/P.

Per l’AUTHORITY (istituzione pubblica con il compito di controllare la conduzione di un determinato settore dell’economia o dei servizi) i tanti inadempimenti provocano una delegittimazione dell’organismo delle controversie gestito da Banca d’Italia. Fino al 2019 non avevano superato l’1%, mentre adesso è decisamente salito.

E’ stato chiesto di aprire un procedimento di verifica e che vengano adottare sanzioni nei confronti delle Poste Italiane, soprattutto in conferma di presupposti.

Era stato già chiesto nel giugno del 2019, di verificare l’idoneità dei protocolli, dalla Banca di Italia, ed in merito a questa segnalazione, il CDA di Poste Italiane, aveva risposto di non ritenere necessario cambiare le misure adottate.


Cosa fare?

Si può ricorrere all’Arbitro Bancario e Finanziario o procedere per via giudiziaria, ma accertarsi prima bene sulla data di emissione e serie del buono fruttifero.

Se è anteriore al 1 luglio 1986, le possibilità sono scarse, se è posteriore, verificare se la serie è “O”, in caso di interessi, l’ABF può darvi ragione.

Per quanto concerne la serie “P” bisogna verificare se sono stati apposti due timbri: P-Q sul fronte e la tabella di tutti i nuovi rendimenti della serie Q, di tutti i trent’anni.

Sono in gran numero le sentenze delle Corti di Appello che hanno accolto la tesi a favore degli investitori.

L’ auspicio è che una di quelle sentenze venga giudicata dalle Sezioni Unite della Cassazione, soprattutto perché di recente, molti Tribunali si stanno dichiarando a favore delle Poste Italiane.

I tempi per la dichiarazione di inadempienza sono abbastanza lunghi, quando l’azienda di servizi postali, finanziari, bancari e di telecomunicazioni viene convocata davanti all’ABF dovrebbe dichiarare di non voler condurre il caso davanti alla magistratura ordinaria. Invece, accade che ciò viene negato e di conseguenza si perde ulteriore tempo.

I consulenti delle associazioni per i diritti degli utenti e dei consumatori consigliano ai titolari di buoni fruttiferi di ricorrere direttamente alle vie legali.



Scritto da Valeria Venturi il 22 gennaio 2021



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